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Lucia Bencina

Una settimana da ESTIA per bilanciare la performance perenne

Per quale ragione, talvolta, sentiamo il bisogno di voler sparire per un po', di essere "invisibili"? Molto spesso questo bisogno è dettato dall'esigenza non solo di rallentare i ritmi frenetici, ma più di allentare la pressione che percepiamo e che ci conduce verso quegli stessi ritmi.


Dopo che per oltre un mese sono stata pienamente assorbita da progetti e impegni offline, questioni familiari, vacanze, ho fatto venir meno la mia “persona” e presenza digitale, e mi sono chiesta: come mi sentirei se volontariamente, diventassi per un po' “invisibile”?


Il libro “La Società della performance” di Maura Gancitano e Andrea Colamedici, che stavo ascoltando proprio nelle settimane precedenti, ha fatto da trigger, offrendomi nel gergo tecnico di coach un insight (un AH-AH! moment, una.. illuminazione) che ho deciso di testare.


Ho deliberatamente deciso di vivere “e basta”, senza alimentare il pensiero (che talvolta tuttavia veniva a trovarmi) di dover ricordare al mondo che esistevo, dimostrare qualcosa a qualcuno, o essere “riconosciuta”, approvata, identificata da altri al di fuori di me stessa, e invece di focalizzarmi per un po' sulla mia autenticità.


“Ciascuno dovrebbe sapere che la parte più autentica di sé non può essere rivelata (..)”. Maura Gancitano e Andrea Colamedici.

Ciò che l’autrice e l’autore riportano nel libro, è il ruolo in cui oggi ci troviamo perennemente di “performers”.


Un ruolo per il quale ci sentiamo davvero presenti, parte della società e persone di valore solo se (di)mostriamo di esistere.

copertina del libro La società della performance
La società della performance

Siamo creatori di spettacolo, e mettiamo in scena costantemente la nostra vita, dagli aspetti quotidiani, più semplici, (davvero di tutto!) ai traguardi più significativi personali e non, in un continuo scambio e ricerca di attenzione, approvazione, appartenenza, senza la quale ci sentiamo invece.. invisibili.


Questo vale per chi, come me, si espone (utilizzando anche i social) a scopo professionale, ma anche per chi sente l’esigenza a ritmi più o meno costanti, di ricordare agli altri la sua presenza, celando questo bisogno in nome della “condivisione”, della "socializzazione".


Ne è una prova anche il fatto che se per qualsiasi motivo veniamo meno al nostro "dovere di performers", assentandoci dagli schermi, dove per schermi intendo qualsiasi scenario pubblico, di condivisone, sentiamo l’esigenza di giustificarci a posteriori oppure anticipando "la sospensione dello show".


Siamo “animali sociali”; lo aveva assunto Aristotele già nel IV secolo a.C. e le più recenti scoperte neuroscientifiche e psicologiche lo hanno confermato: gli esseri umani costruiscono il propri comportamenti e il proprio senso del sé attraverso i rapporti con l’altro, con il gruppo.

Un gruppo che oggi è sempre più vasto, poiché “grazie” anche ai social media, ci confrontiamo con l’opinione, gli interessi, i paradigmi, la cultura, i gusti di un’infinità di persone.


Un incontro simultaneo di tante "mappe", ossia visioni, percezioni e concezioni personali della realtà, che il più delle volte si scontrano, nella ricerca di rendere la propria quella VERA:

Troviamo quindi un gruppo che è sempre pronto, anzi, che non vede proprio l’ora talvolta, di giudicare fuori da sé per confermare e difendere a denti stretti la propria posizione, "la propria mappa", ma che a ben vedere, non necessariamente è quello scambio di cui abbiamo bisogno.



Se da un lato, questo allargamento di confini, rappresenta un’opportunità enorme per ampliare i nostri orizzonti, la nostra visione del mondo arricchendola e colorandola di molteplici sfumature, dall’altro, in carenza di sufficiente consapevolezza personale e interiore, costituisce un eccesso di dipendenza dalle opinioni e dal giudizio altrui, con un conseguente senso di “smarrimento”, e la costruzione di un “personaggio” accondiscendente e dipendente dalle cosiddette, prendo sempre spunto dal contesto social “vanity metrics” (la direzione che peraltro i nuovi aggiornamenti degli algoritmi stanno prendendo), a discapito della nostra autenticità.


Questo è un aspetto che riguarda tutti nel mondo "reale" come in quello digitale, i cui confini sono sempre più sottili -soprattutto per le nuove generazioni di nativi digitali-.

 Ma lo è ancora di più in questo preciso momento storico per noi donne; sempre alle prese con la lotta al dimostrare di essere meritevoli di una chance in quei mondi che per troppo tempo sono stati un' esclusiva maschile,  ottenere il "certificato di idoneità"  a certe funzioni -per non parlare ai ruoli leadership- , e ancor prima meritevoli della libertà di scegliere liberamente della propria vita.

Il rischio di questa ricerca allo scambio, alla condivisione, all'assenso, che per molte di noi ha origini antiche, è di orientare la propria esistenza, interpretarla, prendere decisioni e identificare se stesse con una eccessiva REFERENZA ESTERNA, a discapito di un equilibrio con la REFERENZA INTERNA.



I metaprogrammi REFERENZA ESTERNA E REFERENZA INTERNA

In PNL (Programmazione Neuro-Linguistica) REFERENZA ESTERNA e REFERENZA INTERNA sono due metaprogrammi, ossia, filtri percettivi inconsci che ciascuno di noi utilizza per interpretare la realtà circostante; sorte di “scorciatoie di pensiero” ed il referente è in pratica “colui che suggerisce”.


Chi attua in prevalenza la REFERENZA ESTERNA, come ormai avrai compreso, si affida al giudizio, all’approvazione, all’opinione altrui per validare scelte, decisioni, fino all’attribuzione di valore personale.

Compie le proprie scelte sulla base di ciò che “è giusto”, “socialmente accettato”, o lascia che qualcun altro scelga al suo posto.


Al contrario, una prevalente REFERENZA INTERNA, porta le persone a fidarsi del proprio giudizio personale, usare le proprie metriche come strumento valutativo ed è quindi meno dipendente dal giudizio o opinioni altrui.


Una buona REFERENZA INTERNA ci consente dunque di: maturare consapevolezza di noi stesse, fiducia nelle nostre capacità, potenzialità, assumerci la responsabilità delle nostre scelte aumentare la nostra self-confidence e quindi contribuire alla nostra SELF LEADERSHIP

Uno è quindi meglio dell’altro? La mia riposta è NO.

Gli estremi e i dualismi sono proprio qualcosa che sia a titolo personale che professionale intendo scardinare, infatti, entrambi i metaprogrammi, se portati all’estremo possono portare allo squilibrio e quindi ad effetti depotenzianti.


Senza dubbio, però, nella “Società della performance” , della condivisione, della spettacolarizzazione in cui ci troviamo immerse, possiamo incappare nel rischio di eccedere in REFERENZA ESTERNA, perdendo di vista lo sguardo interiore su noi stesse, la valutazione di ciò che è importante per noi e che ci permette di esprimere autenticamente chi siamo.



Alimentare la REFERENZA INTERNA con ESTIA- dea del focolare e del tempio.

Il metaprogramma di REFERENZA INTERNA si è ricondotto ai miei studi ed approfondimenti riguardo gli archetipi nella donna delle dee dei miti greci.


In particolare, tra le dee definite “vergini” ossia autodeterminate, indipendenti, orientate a loro stesse e non definite attraverso il rapporto con altri, oltre alle più note Atena e Artemide, vi è

ESTIA, la dea del focolare.


Estia infatti è la meno conosciuta tra le divinità dell’Olimpo e non è mai stata raffigurata con sembianze umane da pittori o scultori; la sua presenza, infatti è sempre stata rappresentata dalla fiamma viva, al centro della casa, del tempio o delle città.


Estia per l’appunto era invisibile ma fortemente percettibile: un’invisibile forte presenza. Rispetto alle altre due dee dello stesso gruppo,


Estia si concentra sull’esperienza soggettiva interna, è lo sguardo interiore il contatto con i nostri valori, la messa a fuoco di ciò che è significativo a livello personale, è la concentrazione sul nostro mondo interiore; è polarizzazione interna, è pura presenza, partecipazione in ciò che stiamo facendo, nel luogo e nel tempo in cui si svolge. 

Nutrire e lasciare spazio a Estia, ci aiuta a trovare il senso, a mettere ordine in noi stesse, trovare il punto di riferimento che consente ad una donna di rimanere ben salda nel caos esterno, nel disordine e nell’agitazione, così come di essere pienamente PRESENTE in ciò che fa, focalizzata (non a caso Estia è rappresentata con il fuoco al centro) quasi in una sorta di ipnosi, in cui tutto prende senso, significato, valore nutritivo per la propria essenza.


Estia è un archetipo che possiamo richiamare quando sentiamo di essere eccessivamente in balìa altrui e dei pensieri esterni, quando abbiamo l'esigenza di rimettere al centro il nostro REFERENTE INTERNO, quando desideriamo fare un punto della situazione e comprendere se ciò che stiamo perseguendo sia realmente allineato a noi, ai nostri valori e rispecchi i nostri reali bisogni.

Quando sentiamo di voler bastare a noi stesse per un po', di goderci il momento senza pensare o pretendere che sia funzionale o propedeutico a qualcos'altro al di là di noi stesse.


Estia è un archetipo fondamentale per gettare le basi della propria SELF LEADERSHIP, poiché

è dal (ri)conoscere noi stesse, i nostri valori, i nostri bisogni, i nostri punti di forza e i nostri lati di ombra che potremo decidere la nostra direzione, e fare le NOSTRE scelte.


Cosa è accaduto nella mia settimana estiana?

L'ho condiviso in questo post nel mio account Instagram.


E tu?

Senti il bisogno di portare un po' di ESTIA nella tua quotidianità?

Ti leggo con gioia


Da donna a donna,

da leader a leader,


La tua coach,

Lucia



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